Alzando lo sguardo verso il cielo, si vede solamente un grande tappeto di nuvole che si addensano rapidamente. Meglio aumentare il ritmo, visto che mancano ancora tre chilometri. Dal villaggio di Umoljani, dove termina la strada asfaltata, non si è ancora vista la parvenza di un eventuale riparo per la pioggia. Sulla destra, il profilo arrotondato della Bjelasnica, una delle stazioni sciistiche più celebri della Bosnia. Una volta arrivato a destinazione, scoprirò che in 12 chilometri di strada, nemmeno l’ombra di un albero.
Il punto d’arrivo di questa lunga camminata è uno dei luoghi più remoti dei Balcani: Lukomir. Lo sterrato malconcio su cui sto camminando, altro non è che una delle due sole vie d’accesso a questo piccolo villaggio, costruito a più di 1.400 metri nel cuore delle Alpi Dinariche. Sarajevo, capitale bosniaca, dista solamente un’ora e mezzo di auto, mentre le seggiovie di Babin Do, sulle montagne dei Giochi Olimpici invernali del 1984, sono a circa 15 chilometri in linea d’aria. Malgrado ciò, sembra veramente di essere all’interno di un set cinematografico.
Avvicinandosi all’abitato, inizio a percepire lontano i campanacci delle pecore e i latrati dei cani da guardiania. Sulla sinistra, due ragazzine tosano a mano un agnello: una lo blocca per non farlo muovere, l’altra, china sull’animale, sforbicia il pelo. Le prime case finalmente compaiono dietro l’ultimo, ennesimo, dosso: benvenuti a Lukomir.
Il colpo d’occhio è sorprendente: gli edifici sono tutti costruiti in pietra e legno, con i tetti spioventi che quasi toccano terra, coperti da lastroni di lamiera per affrontare i duri inverni. Ci sono meno di 70 costruzioni, delle quali circa 30 sono abitate, mentre le altre o fungono da stalla o sono abbandonate. Durante la stagione fredda, da dicembre ad aprile, il villaggio resta totalmente isolato a causa delle forti nevicate, che spesso raggiungono in altezza persino i tetti. Durante questa stagione, Lukomir è raggiungibile esclusivamente con lunghe escursioni sugli sci, sopra un manto che a volte raggiunge anche i tre metri.
Il primo insediamento fu costruito nel periodo medievale sul grande altopiano carsico che sovrasta il canyon di Rakitnica. I primi abitanti furono le tribù seminomadi della Podveležje, una regione arida situata nei pressi di Mostar, che risalivano i fianchi delle Alpi Dinariche con le greggi alla ricerca di fonti d’acqua e pascoli. Le testimonianze più antiche dimostrano che le prime tracce di presenza umana risalgono al XIV secolo, per questo motivo la Historical Architecture Society del Regno Unito considera Lukomir uno dei villaggi abitati in maniera continuativa più antichi d’Europa.
La leggenda racconta che l’origine del suo nome derivi dalla propria posizione privilegiata, circondata dalle montagne: “Luko” porto, “Mir” di pace. Sebbene non sia certa la veridicità di questa versione, il villaggio fu porto di pace a tutti gli effetti, anche durante i conflitti jugoslavi degli anni 90. Proprio grazie alla sua inaccessibilità, il villaggio venne risparmiato dai bombardamenti delle truppe serbe. Altri 13 agglomerati nella stessa regione furono bombardati o distrutti, ma Lukomir rimase unica privilegiata località – insieme a Čuhovići, un altro piccolo nucleo di case nelle vicinanze – a non subire danni. Un porto di pace di nome e di fatto.
Intorno al villaggio le pecore pascolano tranquille e gli agricoltori raccolgono il fieno, mentre le vecchiette camminano paciose per le viuzze del borgo, fermandosi di tanto in tanto a chiacchierare o fare la maglia. L’atmosfera magica di Lukomir è probabilmente rimasta tale grazie alla sua inaccessibilità, anche se ultimamente una piccola nicchia di turismo montano sta iniziando a scoprire questo angolo remoto di Bosnia.
Immerso tra gli sguardi curiosi degli abitanti, accetto di buon grado l’invito della signora Merja a prendere un caffè nella sua piccola casa. Mi accoglie all’interno di un’unica grande stanza, con il soffitto basso ed il linoleum ormai sgualcito ma luccicante. È tutto molto essenziale: la vecchia stufa scalda l’acqua per il caffè turco, mentre fuori si scatena un temporalone estivo. Appese al muro, una bella foto della Mecca durante l’Hajj e due vecchi ritratti in bianco e nero dei figli, vestiti con l’uniforme militare.
In inverno Merja scende ormai a Sarajevo con la sua famiglia. Le condizioni di vita sono sempre più difficili a Lukomir, quando cala l’inverno, anche se solo lì si sente veramente a casa. Al contrario, quando era più giovane, rimaneva tutto l’anno nel villaggio, abituata a sfidare anche le condizioni più dure. Qui la corrente elettrica arrivò solo nel 2002, prima non ci si poteva concedere tale lusso…
Ora come ora sembra difficile impedire la tendenza allo spopolamento del villaggio, sebbene il turismo possa rappresentare una timida via di fuga. Guardando però l’altro lato della medaglia, è difficile prevedere l’impatto che potrebbe avere una strada asfaltata per Lukomir: la fine di un equilibrio secolare o una risorsa per stimolare la rinascita del villaggio?